Ho ricevuto dal collega Saverio Paffumi di Freelance 2.0 una lettera inviata dal giornalista freelance Gabriele Del Grande al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nella missiva si legge che il giornalista ha preferito non essere presente alla cerimonia di premiazione dei vincitori del prestigioso “Premio Saint-Vincent di giornalismo” per ragioni che, a mio avviso, sono assolutamente plausibili.
Ecco il testo nella sua versione integrale:
Enrico Mentana per la televisione, Antonio Padellaro per la carta stampata, e – attenzione! – Bruno Vespa per “il prestigio della categoria`. Sono i vincitori del premio Saint-Vincent di giornalismo, evento mondano della casta dei giornalisti che oggi, 21 gennaio, si autoincensano riuniti in pompa magna al cospetto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei salotti affrescati del Quirinale. Il mio nome era sulla lista degli invitati, in quanto vincitore l`anno scorso del premio giornalistico “Colomba d`oro`. C`ho pensato su fino all`ultimo. E alla fine ho deciso di disertare la cerimonia. E di spedire a Napolitano questa lettera.
Mi scusi presidente, ma stamattina la mia poltrona resterà vuota. Mi sembra il miglior modo per celebrare la giornata nazionale della stampa: essere altrove. I motivi sono tanti. Innanzitutto non mi sembra affatto un onore applaudire un paggio ormai vetusto come Bruno Vespa, che da trent`anni occupa le reti pubbliche a nostre salatissime spese con i suoi inconsistenti salottini. Né tantomeno mi sembra un onore ascoltare le parole della federazione nazionale della stampa italiana sullo stato del giornalismo in questo paese. Il suono dell`ipocrisia mi disturba l`udito. Soprattutto se penso a tutti quei quotidiani nazionali che non pagano il lavoro, e a tutti quei colleghi – molto più bravi delle cariatidi che oggi premiate – che hanno cambiato mestiere perché l`affitto e il mutuo non si pagano con la gloria di una firma pubblicata a gratis su un quotidiano nazionale.
Infine non mi sembra un onore stringere la mano a un signore incapace di spingere certi temi, se necessario anche fino allo scontro istituzionale. Perché è inutile celebrare la libertà di stampa nei salotti, quando sappiamo bene quale sia la situazione del conflitto di interessi nel nostro paese, a destra con le proprietà di Berlusconi, a sinistra con la dipendenza cronica dai finanziamenti pubblici e le parentopoli varie, al centro coi veti dei vescovi, e ultima della fila alla Rai, con le lunghe mani di tutti i partiti che se la sono sempre spartita.
E poi a dirla tutta, in questa Italietta non mi sembra nemmeno più un onore ricevere dei premi. Sinceramente preferirei una proposta di lavoro a un trofeo. Nel giugno del 2010 mi sono stati conferiti quattro premi al giornalismo. E mi sono trovato in difficoltà ad accettarli, per il semplice fatto che è difficile spiegare ai 250.000 lettori del mio blog Fortress Europe, che in Italia si premiano i disoccupati. Che in Italia uno che per le sue inchieste riceve tre premi nazionali e uno internazionale, i cui libri sono tradotti in spagnolo e tedesco, per tirare a campare vende in nero collanine touareg mercanteggiate nelle oasi del deserto e gira l`Italia con valigie cariche di libri da vendere durante le presentazioni per rientrare delle spese dei suoi reportage.
È amaro girare il mondo presentando i miei libri, dal Marocco alla Germania, dalla Spagna alla Turchia, dal Belgio alla Grecia, e presentarmi come disoccupato. Perché nessun giornale in Italia è interessato a investire sul giornalismo d`inchiesta, e che il massimo che ti sanno proporre è di curare una pagina gratuitamente su un sito. O che devi litigare ogni volta per farti pagare metà del minimo sindacale, e devi stare attento che non ti ripubblichino le foto senza dirtelo e senza pagartele. È amaro pensare che forse a trent`anni la scelta migliore sia ritirarsi in campagna a fare l`orto.
Sarà che io il mestiere l`ho imparato sul campo e non sui banchi delle scuole di giornalismo, ma a me sembra che il senso di questo mestiere si trovi altrove. Non sta nei salotti romani. Ma piuttosto per strada, nelle scarpe impolverate di chi ancora va incontro alle storie che raccontano il mondo che cambia.
Presidente, facciamo che festeggiamo un`altra volta. Quando questo Paese sarà cambiato. Quando i migliori tra i miei amici torneranno dall`estero dove sono emigrati. Facciamo che festeggiamo quando alle mie amiche ai colloqui di lavoro torneranno a guardare il curriculum anziché le tette. Facciamo che festeggiamo quando gli editori inizieranno a pagare il lavoro per quello che vale, in denari e non in pacche sulle spalle perché siamo compagni. Facciamo che festeggiamo quando ad amministrare questo bel paese saranno persone valide e meritevoli, e non zoccole, servi, parenti e loschi personaggi in aria di mafia. Facciamo che festeggiamo quando la vostra generazione di ottuagenari farà il suo dovere, togliendosi una volta per tutte di mezzo e passando il testimone.
Ps. Le invio anche la canzone “Io non mi sento italiano`, di Giorgio Gaber. Se la riascolti, perché è quello che molti italiani pensano. Magari sembrano irriverenti, ma sono loro quelli che vogliono bene al paese. Non voi.
Gabriele Del Grande
Mi scusi presidente, ma stamattina la mia poltrona resterà vuota. Mi sembra il miglior modo per celebrare la giornata nazionale della stampa: essere altrove. I motivi sono tanti. Innanzitutto non mi sembra affatto un onore applaudire un paggio ormai vetusto come Bruno Vespa, che da trent`anni occupa le reti pubbliche a nostre salatissime spese con i suoi inconsistenti salottini. Né tantomeno mi sembra un onore ascoltare le parole della federazione nazionale della stampa italiana sullo stato del giornalismo in questo paese. Il suono dell`ipocrisia mi disturba l`udito. Soprattutto se penso a tutti quei quotidiani nazionali che non pagano il lavoro, e a tutti quei colleghi – molto più bravi delle cariatidi che oggi premiate – che hanno cambiato mestiere perché l`affitto e il mutuo non si pagano con la gloria di una firma pubblicata a gratis su un quotidiano nazionale.
Infine non mi sembra un onore stringere la mano a un signore incapace di spingere certi temi, se necessario anche fino allo scontro istituzionale. Perché è inutile celebrare la libertà di stampa nei salotti, quando sappiamo bene quale sia la situazione del conflitto di interessi nel nostro paese, a destra con le proprietà di Berlusconi, a sinistra con la dipendenza cronica dai finanziamenti pubblici e le parentopoli varie, al centro coi veti dei vescovi, e ultima della fila alla Rai, con le lunghe mani di tutti i partiti che se la sono sempre spartita.
E poi a dirla tutta, in questa Italietta non mi sembra nemmeno più un onore ricevere dei premi. Sinceramente preferirei una proposta di lavoro a un trofeo. Nel giugno del 2010 mi sono stati conferiti quattro premi al giornalismo. E mi sono trovato in difficoltà ad accettarli, per il semplice fatto che è difficile spiegare ai 250.000 lettori del mio blog Fortress Europe, che in Italia si premiano i disoccupati. Che in Italia uno che per le sue inchieste riceve tre premi nazionali e uno internazionale, i cui libri sono tradotti in spagnolo e tedesco, per tirare a campare vende in nero collanine touareg mercanteggiate nelle oasi del deserto e gira l`Italia con valigie cariche di libri da vendere durante le presentazioni per rientrare delle spese dei suoi reportage.
È amaro girare il mondo presentando i miei libri, dal Marocco alla Germania, dalla Spagna alla Turchia, dal Belgio alla Grecia, e presentarmi come disoccupato. Perché nessun giornale in Italia è interessato a investire sul giornalismo d`inchiesta, e che il massimo che ti sanno proporre è di curare una pagina gratuitamente su un sito. O che devi litigare ogni volta per farti pagare metà del minimo sindacale, e devi stare attento che non ti ripubblichino le foto senza dirtelo e senza pagartele. È amaro pensare che forse a trent`anni la scelta migliore sia ritirarsi in campagna a fare l`orto.
Sarà che io il mestiere l`ho imparato sul campo e non sui banchi delle scuole di giornalismo, ma a me sembra che il senso di questo mestiere si trovi altrove. Non sta nei salotti romani. Ma piuttosto per strada, nelle scarpe impolverate di chi ancora va incontro alle storie che raccontano il mondo che cambia.
Presidente, facciamo che festeggiamo un`altra volta. Quando questo Paese sarà cambiato. Quando i migliori tra i miei amici torneranno dall`estero dove sono emigrati. Facciamo che festeggiamo quando alle mie amiche ai colloqui di lavoro torneranno a guardare il curriculum anziché le tette. Facciamo che festeggiamo quando gli editori inizieranno a pagare il lavoro per quello che vale, in denari e non in pacche sulle spalle perché siamo compagni. Facciamo che festeggiamo quando ad amministrare questo bel paese saranno persone valide e meritevoli, e non zoccole, servi, parenti e loschi personaggi in aria di mafia. Facciamo che festeggiamo quando la vostra generazione di ottuagenari farà il suo dovere, togliendosi una volta per tutte di mezzo e passando il testimone.
Ps. Le invio anche la canzone “Io non mi sento italiano`, di Giorgio Gaber. Se la riascolti, perché è quello che molti italiani pensano. Magari sembrano irriverenti, ma sono loro quelli che vogliono bene al paese. Non voi.
Gabriele Del Grande
CHI E’ GABRIELE DEL GRANDE
Toscano, viaggiatore e scrittore. Nato a Lucca nel 1982, si è laureato a Bologna in Studi Orientali. Scrive su L’Unità,Redattore Sociale e Peace Reporter e collabora con Lettera27. Nel 2006 ha fondato l’osservatorio sulle vittime dell’emigrazione Fortress Europe. Per le nostre edizioni ha pubblicato Mamadou va a morire (2007) e ha collaborato aCome un uomo sulla terra (2009). Per infinito edizioni ha pubblicato Mamadou va a morire. La strage dei clandestini nel Mediterraneo (2007, seconda edizione, maggio 2008), Roma senza fissa dimora (2009), Il Mare di Mezzo (2010).
Toscano, viaggiatore e scrittore. Nato a Lucca nel 1982, si è laureato a Bologna in Studi Orientali. Scrive su L’Unità,Redattore Sociale e Peace Reporter e collabora con Lettera27. Nel 2006 ha fondato l’osservatorio sulle vittime dell’emigrazione Fortress Europe. Per le nostre edizioni ha pubblicato Mamadou va a morire (2007) e ha collaborato aCome un uomo sulla terra (2009). Per infinito edizioni ha pubblicato Mamadou va a morire. La strage dei clandestini nel Mediterraneo (2007, seconda edizione, maggio 2008), Roma senza fissa dimora (2009), Il Mare di Mezzo (2010).
Dopo aver letto questa lettera di Gabriele Del Grande, affido allo stesso la mia Stima……non e’ “commerciabile” o, commestibile, ma per me ha un gran valore, garande quasi quanto la Dignitä di questa lettera. Giulio Cara, emigrante
Anch’io non mi sento italiana, caro Gabriele, e hai fatto benissimo ad astenerti dal partecipare all’ennesimo salotto dell’ipocrisia.