Ho ricevuto una mail da parte di Simone Favaro, che ringrazio, circa un commento al mio post sul fatto che Internet mostra sempre più notizie non verificate. L’autore della mail riferisce di non aver potuto commentare il mio post perchè i commenti erano chiusi. Ho verificato quanto da lui stesso dichiarato ma ho trovato assolutamente fruibile questa parte del sito, previo registrazione (per problemi di spam). Simone Favaro ha comentato sul suo blog il mio post. Di seguito la mia replica.
In sintesi: Anna Bruno torna sul tema della legge sull’editoria appoggiandola in quanto, ritiene, serva a garantire una qualità dell’informazione minacciata da un proliferare di blog che si mascherano dietro ad una autorevolezza informativa che in realtà non hanno.
Non è assolutamente quello che ho detto. Cito testualmente il punto del mio post: “L’idea dei blog, dei diari personali, è un’idea democratica. Nel pieno rispetto del diritto di informazione e di parola, ognuno di noi esprime la propria opinione. Chi legge è ben conscio di ricevere il pensiero dello scrittore e, soprattutto, le opinioni di chi anima il blog“. In estrema sintesi, si ai blog come espressione del proprio pensiero, no ai blog come fonte di informazione.
E’ una posizione abbastanza comune tra i giornalisti (non tutti per fortuna) ma la ritengo quanto meno superficiale e sicuramente mancante di una conoscenza del fenomeno dei social media.
Questa è un’opinione personale ed è giusta se manifestata sul proprio blog in modo che chi legge riconosce il senso dell’affermazione ovvero opinione personale e non fonte di informazione. Questa affermazione è grave se scritta su una testata giornalistica in quanto non si sorregge su dati di fatti ovvero prove.
Chi ‘vive’ il fenomeno dei blog e dei social media da dentro sa che ciò che rende autorevole una fonte è la ‘reputazione’; e la reputazione di un blogger è costruita perché qualcun altro gli riconosce la competenza: maggiore è la reputazione di chi riconosce, maggiore sarà la reputazione del blogger; e, ancora, quando un blogger si gioca la reputazione, automaticamente viene ‘squalificato’.
Non voglio scomodare troppo Google per tirare fuori articoli su come si costruisce l’autorevolezza di un blog o di un qualsiasi sito. Mi piace citare un post tratto da un blog che si sofferma sull’importanza dei BL (Back link) per far salire la reputazione di un sito, argomento che in questi ultimi tempi ha visto il proliferare del fenomeno degli scambi e acquisti link e di come Google ha dovuto prendere le contromisure.
Non si può dire lo stesso di un giornalista che lavora solo in virtù di una autorizzazione riconosciuta da un ordine composto dai suoi stessi colleghi e, come si sa, “cane non mangia cane”. Questo ancor più dimostrato dal fatto che le testate on line generalmente non permettono mai di commentare le notizie.
In questa affermazione trovo tante imprecisioni. Io lavoro non per un’autorizzazione (tutti i giornalisti lavorano non per un’autorizzazione) ma perchè, in seguito ad un esame di Stato ho ricevuto la tessera di giornalista professionista. Per la cronaca sono stata esaminata da magistrati e giornalisti e a capo della commissione c’era (e c’è sempre) un magistrato. La testata che dirigo, inoltre, FullPress.it dà la possibilità di commento delle notizie cosa che, cmq, non qualifica o squalifica una testata ma è il frutto di una mera idea editoriale. Anche Il Giornale premette il commento della notizia, giusto per fare un esempio di una testata autorevole cartacea che è presente anche online.
Altro punto che non condivido è paragonare la professione giornalistica a quella del medico, dell’architetto, ecc. Premesso che non esistono professioni di serie A e di serie B e che ritengo che tutti gli ordini professionali siano anacronistici e andrebbero aboliti (ne parlo anche qui in parte), il giornalismo è proprio una di quelle professioni che non dovrebbero avere un ordine professionale. La presenza di un ordine che voglia gestire l’informazione va nella direzione opposta rispetto alla tanto declamata pluralità di informazione ed espone, inoltre, a un controllo che non sempre è attuato per “garanzia” (ricordiamoci che l’ordine dei giornalisti è stato voluto da Mussolini).
Ancora una volta l’informazione è confusa. L’ordine professionale dei giornalisti è stato istituito con la legge 69 del 1963. Non mi risulta che il fascismo abbia avuto vita così lunga e che era presente in Italia negli anni 60. Forse fai confusione con la legge sulla stampa che è stata ripresa e superata da quella sull’ editoria .
Infine, non è assolutamente vero che un giornalista – anche se iscritto all’ordine – tenga separata l’opinione personale da quella professionale, anzi. Nessuno può garantirlo. La sola scelta delle parole in un articolo, la scelta di immagini in un servizio sono frutto di libero arbitrio di chi fa il pezzo e che decide cosa secondo lui è più importante evidenziare rispetto ad altro. Quindi, anche se i fatti sono “veri”, le fonti certificate ed il pezzo controfirmato da un direttore responsabile, la notizia come prodotto sarà sempre viziata dalla visione di chi la veicola. Nello stesso identico modo in cui lo è quando a veicolarla è un blogger, che però non ha chi gli mette la firma e si deve assumere direttamente la responsabilità di quello che scrive.
Ancora inesattezze. Il giornalista firma l’articolo e ne è responsabile. Non esiste la controfirma perchè non avrebbe senso in quanto il direttore responsabile che rischia di commettere reato penale è tenuto sempre a vigilare ma non per questo manipola o garantisce lo scritto del giornalista. E’ chiaro che chi scrive riferisce fatti (soprattutto se è cronista) e non la sua opinione. Questo, pero’, è assolutamente soggettivo anche se, proprio in qualità di informatore, si è sempre sottoposti ai diritti e ai doveri, oltre a seguire il codice deontologico professionale. Queste mie risposte, supportate da dati di fatto, sono l’esempio di come l’informazione deve essere sempre verificata.
Cara Anna, ora ho visto il link di registrazione per commentare ma che, ti assicuro, prima non avevo visto.
Ecco la mia risposta:
http://www.simonefavaro.it/2009/03/03/su-blog-e-giornalismo-prosegue-il-dibattito/
Ciao,
Simone