Overtourism vs lentezza: il valore dei luoghi silenziosi * Anna Bruno

Il silenzio dei luoghi lenti è la vera ricchezza

Il clamore dell’overtourism fa notizia ma il vero valore sta nei luoghi lenti. Scopri perché il turismo slow è la risposta sostenibile e strategica.

Lentezza vero valore - Foto U+ Paulina Herpel

Il clamore dell’overtourism è ovunque: città assediate, borghi trasformati in palcoscenici, residenti in fuga. I luoghi diventano prodotti, le esperienze si fanno tutte uguali, e la bellezza (quella vera) finisce per sbiadire, coperta dal rumore. Eppure, lontano da quel frastuono, esiste un altro mondo.
Un mondo più silenzioso, più umano. Fatto di piccoli gesti, tempi dilatati, relazioni sincere. È il mondo dei luoghi lenti: paesi che non rincorrono la visibilità a tutti i costi, vallate che non si piegano all’omologazione, tavole imbandite non per essere fotografate, ma per essere condivise. In questi spazi la fretta si dissolve, e la scoperta prende il suo posto. Un piatto racconta le stagioni. Una strada racconta la storia. Una persona racconta se stessa. E il tempo, che altrove sembra sempre mancare, qui si siede accanto a te, e ti accompagna.

Overtourism: quando troppo è troppo

Secondo Sustainable Travel International, l’overtourism si verifica quando il numero di visitatori compromette la qualità della vita locale e l’integrità ambientale. Venezia, Hallstatt, Parigi: il problema è globale e urgente. Gli effetti sono visibili e misurabili: aumento dei costi abitativi, riduzione della vivibilità, danni ambientali, perdita d’identità. Le relazioni si indeboliscono, i ritmi si spezzano. La bellezza cede il passo alla performance.

I segni sono chiari e visibili:

  • l’aumento dei costi abitativi;
  • la riduzione della vivibilità quotidiana;
  • i danni ambientali irreversibili;
  • la perdita progressiva di identità culturale.

Luoghi unici che finiscono per somigliarsi tutti, travolti dal desiderio di “piacere” al mercato globale. E così l’autenticità si consuma, l’esperienza si impoverisce, la fiducia tra chi accoglie e chi visita si incrina.

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La risposta è la lentezza

Il turismo lento nasce come antidoto culturale e strategico all’eccesso, all’omologazione, alla velocità che svuota i luoghi del loro senso.  Ispirato ai valori di Slow Food e Cittaslow, propone un viaggio che rispetta il ritmo dei luoghi e delle persone. Non si tratta solo di evitare le folle, ma di cambiare paradigma: meno tappe, più profondità. È un modo diverso di viaggiare, ispirato ai valori di Slow Food e al movimento Cittaslow, che mettono al centro il tempo, la cura e la relazione autentica con il territorio. Ma non si tratta solo di evitare le folle. Il punto non è la quantità di persone, ma la qualità dell’esperienza. Il turismo lento propone un cambio di paradigma:

  • meno tappe, più profondità;
  • meno selfie, più sguardi;
  • meno consumo, più ascolto;
  • meno checklist, più connessione.

Significa accettare che non si può vedere tutto, ma si può sentire davvero qualcosa. Significa preferire il treno alla corsa low cost, la passeggiata alla visita cronometrata, il racconto alla recensione. Chi sceglie la lentezza non rinuncia al viaggio, ma gli restituisce il suo significato più pieno: trasformazione, rispetto, meraviglia.

La mappa invisibile dei luoghi lenti

In Italia esistono decine di territori che offrono esperienze autentiche: borghi tra i monti, vallate isolate, comunità resilienti. Luoghi dove l’ospitalità è ancora un gesto sincero. Dove un pasto è fatto di stagioni, storie e mani. Dove il silenzio non è assenza, ma attenzione. Dove il marketing può e deve raccontare la verità delle cose.

Borghi in equilibrio tra passato e futuro, di vallate silenziose, di cammini poco battuti, di comunità che hanno scelto di restare. Non perché isolate, ma perché consapevoli. Sono luoghi che non chiedono attenzione ma la meritano. Dove il tempo non si è fermato ma scorre diversamente.

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In queste aree, spesso marginali sulla carta, ma centrali nel cuore di chi le vive, la lentezza è un valore condiviso, non un sacrificio. È una forma di resistenza culturale, ma anche una risorsa economica. Qui, il turismo non è invasione, è incontro. Il cibo non è consumo, è racconto. L’accoglienza non è servizio, è relazione. È una mappa invisibile, quella dei luoghi lenti. Tracciata più dalle emozioni che dai navigatori. Dove ogni sentiero, ogni sguardo, ogni tavola apparecchiata può diventare esperienza. Dove non si va solo per vedere, ma per capire. Dove il silenzio è parte integrante del paesaggio.

Luoghi come quelli che stanno rinascendo nel cuore del Parco del Pollino — ne parleremo presto in modo approfondito rappresentano in pieno questo spirito. Territori che non si adeguano ai numeri, ma scelgono la qualità. Che non competono sul prezzo, ma sull’autenticità. E che chiedono a chi arriva una sola cosa: rispetto.

Il valore per chi viaggia

Per i viaggiatori, il turismo lento è un’opportunità unica: quella di rallentare, riflettere, rigenerarsi. Secondo il report dell’Università di Auckland (AUT), chi sceglie esperienze slow riporta maggiore soddisfazione, connessione con il luogo e una maggiore intenzione a tornare.

Il valore per chi accoglie

Per le destinazioni e gli operatori, la lentezza è un modello economico sostenibile. Genera meno picchi, ma più stabilità. Richiede meno infrastrutture pesanti, ma più cura. Non distrugge il capitale territoriale, lo valorizza. È una scelta che premia chi sa posizionarsi in modo chiaro e coerente.

Il marketing della lentezza

Nel marketing turistico e food, lavorare con lentezza significa progettare esperienze, raccontare storie, costruire relazioni. È una strategia che punta sul lungo periodo, sulla qualità, sull’identità. Non è una fuga dalla tecnologia: è un suo uso consapevole per creare valore vero.

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Conclusioni

L’overtourism fa notizia, ma la vera innovazione sta nei territori che scelgono di non urlare. Di non cedere all’omologazione. Di restare fedeli a se stessi. Il futuro sarà di chi saprà trasformare questa coerenza in proposta, narrazione e fidelizzazione.

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