Food marketing: la storia del prodotto non basta * Anna Bruno

Perché nel food marketing la storia del prodotto non basta (e cosa serve davvero per farsi scegliere)

Da anni sento raccontare storie di prodotti: ricette tramandate, tradizioni di famiglia, terre incontaminate, segreti custoditi da generazioni. Eppure, nonostante […]

Mani che impastano pane - Foto U

Da anni sento raccontare storie di prodotti: ricette tramandate, tradizioni di famiglia, terre incontaminate, segreti custoditi da generazioni. Eppure, nonostante l’emozione sincera di molti racconti, spesso non funzionano. Perché oggi, nel food marketing, la storia del prodotto da sola non basta più. Serve una strategia. Serve direzione. Serve capire perché quel racconto dovrebbe convincere qualcuno a scegliere proprio te.

Lo storytelling nel food è ovunque (e spesso tutto uguale)

Non c’è nulla di male nel voler raccontare la propria origine, anzi. Ma negli ultimi anni si è diffusa una narrazione autoreferenziale e ripetitiva, dove tutti parlano di genuinità, nonna, fatica e passione. Il risultato? Il pubblico si è assuefatto. I messaggi si confondono. Le parole, anche quelle autentiche, perdono forza.

Mi è capitato spesso di leggere presentazioni diverse con le stesse frasi. E il rischio è altissimo: far pensare che anche il tuo prodotto sia “uno dei tanti”, anche quando non lo è.

La comunicazione, soprattutto nel food, deve distinguere, non confondere. Deve attrarre, non solo rassicurare.

Raccontare la storia è utile solo se serve a scegliere

Un buon racconto deve rispondere a una domanda implicita del cliente: perché dovrei scegliere proprio te? E per farlo, deve unire emozione e strategia. Non basta dire che l’olio viene da ulivi centenari: bisogna spiegare cosa cambia per me che lo uso nella mia cucina. Non basta dire che il vino è naturale: devo capire perché è adatto alla mia tavola, alla mia filosofia, alla mia esperienza.

In altre parole: la storia del prodotto è un mezzo, non un fine. E se non la colleghiamo a un posizionamento, a un’identità precisa, rischiamo di fare solo poesia.

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Tre errori comuni nel racconto del prodotto

  • Parlare solo di sé: il produttore racconta cosa fa, ma non ascolta il pubblico e i suoi bisogni.
  • Essere generici: termini come “artigianale”, “buono”, “di qualità” sono troppo vaghi se non sono dimostrati o contestualizzati.
  • Ignorare il contesto: non adattare il messaggio ai canali, alle stagioni, al tipo di cliente a cui ci si rivolge.

Cosa funziona davvero oggi

1. Posizionamento chiaro
Un piccolo produttore può competere anche con i grandi, se ha un’identità netta. Meglio essere fortemente riconoscibili per pochi, che vagamente interessanti per tutti.

Pensa a una piccola azienda agricola che produce solo confetture da frutta fresca, in edizione limitata, senza zuccheri aggiunti e comunica chiaramente che le sue produzioni sono pensate per un pubblico che cerca gusto naturale e stagionalità vera. Questo è un posizionamento: diretto, definito, coraggioso. Non è per tutti, ma chi si riconosce lo sente subito “suo”.

2. Relazione e verità
Oggi le persone non comprano solo per bisogno, ma per affinità. Funzionano i contenuti che mostrano le mani, i volti, la coerenza nel tempo. E funziona la sincerità: dire “non siamo per tutti” può attirare molto più che dire “siamo per chiunque”.

Un caso che racconto spesso è quello di una piccola panetteria di paese che pubblica solo tre post al mese ma autentici: uno scatto delle mani infarinate all’alba, un racconto su un cliente storico, una foto senza filtri del pane appena sfornato. Nessuna strategia aggressiva, solo presenza vera. Eppure, riescono ad attirare clienti da chilometri di distanza, proprio per la verità che trasmettono.

3. Strategia e adattamento
Ogni canale ha il suo linguaggio. Un racconto emozionale può funzionare su Instagram ma su una scheda prodotto serve chiarezza, benefici e leve persuasive. Serve sempre un ponte tra chi racconta e chi ascolta.

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Un esempio concreto: se vendo una pasta artigianale e ne parlo su Facebook, posso puntare sul racconto del grano, della lavorazione, del legame con il territorio. Ma se la propongo su una piattaforma di e-commerce, devo aggiungere informazioni precise: tempi di cottura, per quali ricette è adatta, benefici per la salute, recensioni di chi l’ha già provata. Adattare non significa snaturare, ma tradurre lo stesso messaggio in una forma utile per chi legge lì, in quel momento.

Conclusione: dalla storia alla scelta

Il food marketing oggi richiede qualcosa in più della passione. Richiede consapevolezza, direzione, precisione. Raccontare va bene, ma bisogna sapere dove si vuole arrivare. Non dobbiamo solo emozionare, dobbiamo farci scegliere. E per farlo, la storia deve diventare relazione. Deve trasformarsi in valore per chi legge, guarda, ascolta.

Se senti che la tua comunicazione è ferma alla “storia bella ma poco incisiva”, possiamo lavorarci insieme. Possiamo costruire un racconto strategico, che unisca ciò che sei a ciò che il tuo pubblico cerca davvero.

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